Per i giovani abituati a giocare a casa, magari online con gli amici, le sale giochi sono un’immagine nostalgica vista in molti film e serie televisive. Eppure questi luoghi, rumorosi e colorati, per una generazione sono stati non solo un luogo di svago, ma un importante momento di aggregazione e crescita. Salvare la storia dei videogiochi arcade custoditi nei musei tematici, soprattutto dopo l’avvento della pandemia e della chiusura di queste istituzioni, è diventata un’urgenza.
Una raccolta di fondi
Si chiamata Saving The Arcade World la campagna lanciata sulla rivista di settore EDGE da Team 17, sviluppatore ed editore inglese, famoso per aver realizzato negli anni Novanta la serie di videogiochi Worms. La raccolta fondi è urgente e serve a finanziare programmi mirati di conservazione dei cassoni coin-op custoditi in tre importanti musei tematici: The Strong National Museum of Play a Rochester, New York; il National Videogame Museum a Sheffield e il Museo del Videojuego Arcade Vintage ad Alicante, in Spagna.
La campagna Saving The Arcade World donerà parte dei proventi derivanti dalla vendita del gioco d’azione in pixel-art Narita Boy di Studio Koba, i diritti di pubblicazione di uno dei brani musicali del gioco e quelli della vendita di un cabinato arcade.
Perché è importante preservare il patrimonio dei musei a tema
Le sale giochi sono state una parte fondamentale nella storia del videogioco, come ha ricordato Jon-Paul Dyson, vice presidente del museo The Strong, quei luoghi arrivarono in un momento cruciale nella crescita dell’industria videoludica.
Negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta i coin-op da sala giochi erano il modo principale in cui le persone potevano sperimentare l’esperienza videoludica, inoltre gli arcade erano molto più potenti dei sistemi domestici commercializzati all’epoca. La Nintendo Entertainment System, NES, la console che risollevò l’industria dei videogiochi dopo la crisi del 1983 e aprì l’età d’oro delle console casalinghe a 8-bit, esordì in Giappone nello stesso anno, ma non fu commercializzata in Usa e Europa prima del 1985.
In questo momento tutti i musei a tema affrontano il problema del deterioramento di numerose macchine arcade che sta raggiungendo livelli critici. La manutenzione richiede conoscenze in diversi ambiti, a partire dall’elettronica per arrivare al bricolage. I musei devono dunque bilanciare la necessità di mantenere le macchine affidabili per un uso pubblico, alla conservazione dell’autenticità dell’hardware.
Obiettivo finale è dare ai visitatori un’esperienza realistica della sala giochi, immergerli nell’atmosfera tipica del tempo, con musica retrò e i grandi classici videoludici dell’epoca, perché come dice Jon-Paul Dyson: “C’è una magia nell’originale”. Una magia che nessun emulatore domestico potrà mai avere.
Cosa si sta facendo
Attualmente il National Videogame Museum sta conducendo un programma di ricerca incentrato sulla registrazione dei suoni da sala giochi che prevede lo sviluppo di una biblioteca con storie tramandate oralmente. Il progetto, denominato VHS Tapes, si avvale di emulatori per esposizioni tematiche, come quello sulle fasi bonus, permettendo ai visitatori l’accesso immediato, ad esempio, all’iconica sequenza di distruzione delle auto a suon di pugni in Street Fighter II.
Il museo di Sheffield sta pensando a pratiche di conservazione, creando una comunità di accademici, curatori, ricercatori e collezionisti di videogiochi, per formulare e diffondere una guida valida a livello internazionale. Purtroppo durante l’anno gravato dalla pandemia molti dipendenti del National Videogame Museum sono stati messi in aspettativa e l’istituzione si sta concentrando sulla raccolta di fondi. Sono già state raccolte circa 20.000 sterline, donate da collezionisti e da aziende del settore tra cui Rockstar, Jagex e Boneloaf. Un inizio per evitare che un patrimonio così importante nella storia dei videogiochi sia ricordato solo in film, serie TV, con emulatori o collezioni private.
*FONTE: La Stampa.