Cerchiamo di ricostruire com’è stato possibile arrivare a un’edizione rimasterizzata di un insuccesso plateale come NieR, raccontando della serie di colpi di fortuna che portarono alla realizzazione di NieR: Automata.
Yoko Taro non scherza quando afferma che i suoi giochi non hanno mai venduto nulla. I primi due Drakengard furono apprezzati da una ristrettissima nicchia di giocatori. Il terzo fu realizzato per la semplice fissazione di Takamasa Shiba, che voleva comunque andare a soddisfare i fan della serie. NieR vendette poco, vuoi perché Square Enix non ci credette fino in fondo, pasticciando il marketing oltre misura, soprattutto in occidente, vuoi perché, figlio di Drakengard, non ricevette un budget adeguato a renderlo concorrenziale con altre produzioni dell’epoca.
Dopo NieR la saga era considerata praticamente morta all’interno della compagnia, tranne da una persona: il producer Yôsuke Saitô, che con una perseveranza invidiabile riuscì a sfruttare un momento particolarmente fortunato per infilare il nuovo gioco. A raccontarlo è il giornalista Nicolas Turcev nel libro: “The Strange Works of Taro Yoko: From Drakengard to NieR: Automata“, in cui viene ricostruita nel dettaglio la storia di come Automata si sia trasformato da un’improbabile chimera in un gioco vero e proprio.
Nonostante l’insuccesso commerciale di NieR, Saitô voleva ancora fare qualcosa ambientato nello stesso universo, che secondo lui aveva ancora molto da dire. Peccato che i vertici di Square Enix non fossero propensi a investirci sopra. Comunque sia, NieR divenne un oggetto di culto e intorno al gioco si formò una piccola ma attivissima comunità, che iniziò a produrre fan art di Kainé ed Emil e che discuteva di tutti i dettagli, anche i più minuti, della trama del gioco, plaudendo al lavoro di Yoko Taro. Parliamo di poche migliaia di giocatori, che però mantennero viva la memoria di NieR, non facendolo mai sparire dalla scena (soprattutto in Giappone).
Nel mentre le stelle si allinearono. L’intero management di Square Enix era contrario a un sequel di NieR, tranne un singolo dirigente, Yôsuke Matsuda, che scrisse a Saitô fissando le condizioni ipotetiche per un nuovo capitolo, ossia parlando di come sarebbe dovuto essere il nuovo gioco per riuscire dove NieR aveva fallito. Matsuda all’epoca si occupava di finanze e amministrazione. Le sue conversazioni con Saitô non significavano che il gioco avesse ricevuto la luce verde, ma nel frattempo successe qualcosa che cambiò completamente le carte in tavola. Nell’aprile del 2013 Matsuda fu nominato CEO di Square Enix, sostituendo Yôichi Wada, ritenuto responsabile della perdita di più di 130 milioni di dollari dell’anno fiscale precedente.
Improvvisamente Saitô si ritrovò fiancheggiato dal CEO di Square Enix in persona (con cui aveva un ottimo rapporto professionale e personale), che oltretutto nel suo piano di ristrutturazione della compagnia, diede maggior potere proprio ai producer per portare avanti i singoli progetti. Matsuda voleva una gestione più agile delle varie produzioni, che non dovevano più necessariamente passare dall’approvazione del consiglio di amministrazione, ma essere approvati dalle varie divisioni. Saitô colse al volo l’occasione. Membro della Business Division 6, quella dei Dragon Quest, il nostro fece valere la sua reputazione e Matsuda accettò di finanziare il nuovo NieR.
Durante la fase di brainstorming per il nuovo gioco (pensate che rischiammo anche di avere un NieR: Farmville) si convenne che uno dei punti deboli di NieR fosse il sistema di combattimento. Inoltre c’era un grosso problema: Cavia, il team di sviluppo originale, era ormai chiuso. Chi si sarebbe occupato del nuovo capitolo, quindi? Qui arrivò un altro colpo di fortuna non da poco, che risolse entrambi i problemi in un colpo solo.
All’epoca Square Enix era in contrattazione con PlatinumGames per realizzare qualcosa insieme. Sviluppatore e publisher non sapevano ancora cosa, in realtà. Fortuna volle che uno degli sviluppatori di Platinum Games incaricati di presentare un progetto al publisher, Takahisa Taura, fosse un grandissimo fan di NieR e che il gioco che stava progettando era proprio un ipotetico seguito del suo titolo preferito. Va sottolineato come il nostro all’epoca non sapesse niente dei progetti di Saitô. Quest’ultimo, quando apprese del pitch di Taura, fu colpito dalla coincidenza e decise di unire i progetti, così PlatinumGames divenne ufficialmente lo sviluppatore di quello che sarebbe poi diventato NieR: Automata, che si decise di lanciare su PC e PS4. In questo modo Square Enix fu anche certa che non ci sarebbero stati problemi con il sistema di combattimento, visto il background dello studio di Osaka.
*FONTE: Multiplayer.