Questo, chiaramente, cambiò l’approccio di Squaresoft al mercato: forte della scommessa vinta e delle enormi nuove prospettive iniziò a cambiare strategia, creando giochi non più destinati a una sola piattaforma, ma eterogenee raccolte di opere multimediali realizzate su diverse piattaforme e medium.
La fine dello scorso millennio è per Square un periodo eccezionale, fatto di successi commerciali e di critica, nonché caratterizzato da una spinta creativa come poche se ne sono viste. È Final Fantasy Tactics ad aprire le danze: uscito a giugno del 1997 (lo stesso anno di Final Fantasy 7) fu il primo progetto di Yasumi Matsuno in Square dopo aver lasciato Quest, e fu un successo clamoroso (oltre che il primo assaggio di Ivalice e il perfetto esempio della nuova strategia Square), sia in patria che fuori, con quasi due milioni e mezzo di copie vendute tra tutte le diverse edizioni (e ri-edizioni).
The Golden Age
Il 1998 è invece l’anno di Xenogears: Tetsuya Takahashi, dopo aver lavorato a Final Fantasy V e VI, propone a Square un pitch per Final Fantasy 7, che viene approvato ma come gioco a sé stante. Insieme a Hiromichi Tanaka (ma anche Kaori Tanaka e Kiyoshi Yoshii) crea un’esperienza che non solo viene da subito apprezzata e amata, ma che dà anche il via a una (meta) serie che lo stesso Takahashi proseguirà con Monolith, studio che lui stesso fonda e con il quale pubblicherà Xenosaga prima e Xenoblade dopo.
Giusto per rendere il 1998 un anno memorabile, Sakaguchi e Tokita (che ricorderete aver diretto, tra le altre cose, Chrono Trigger) danno vita a Parasite Eve, avventura horror che non era certo un gioco così completo e rifinito come i due appena citati, ma che contribuì (anche con una serie di furbi spot televisivi) a consolidare la posizione di Square come “quelli delle sequenze cinematografiche fighissime”, elemento per nulla secondario in un mondo nel quale i videogiochi iniziavo a essere percepiti come intrattenimento a tutto tondo.
n tutto questo però la gallina dalle uova d’oro era ancora Final Fantasy, che in quello stesso anno fu distribuito su PC (con un accordo pluriennale siglato con Electronic Arts) e che si stava avvicinando a grandi passi verso l’ottavo capitolo, datato febbraio ‘99. Con Yoshinori Kitase ancora saldamente al comando e Shinji Hashimoto (co-creatore di Kingdom Hearts e attualmente Final Fantasy Brand Manager) in vece di Hironobu Sakaguchi in altre faccende affaccendato (ci arriviamo), l’avventura di Squall e Rinoa è un successo netto e indiscutibile.
Dei quasi dieci milioni di copie vendute, due e mezzo furono piazzati nel solo Giappone nel giro di una settimana, con altri quattro e mezzo tra America e Europa. Con gli investimenti già fatti per Final Fantasy 7, questo ottavo capitolo costò sensibilmente meno e fu un’iniezione di cassa non indifferente per Square, che lavorò anche molto (e meglio) sull’adattamento del gioco, viste anche le critiche del suo predecessore.
Un doloroso addio
Un doloroso addio
Mentre però qualcuno contava i soldi, altri, e nello specifico proprio Hironobu Sakaguchi, quei soldi avevano già iniziato a spenderli, al sole e al caldo delle Hawaii. Nelle 1997 infatti nasce Square Pictures, studio cinematografico che avrebbe non solo aiutato lo studio di sviluppo ad avere cinematiche sempre all’avanguardia, ma anche (soprattutto) a produrre film d’animazione.
“Square era una compagnia molto ambiziosa, e come compagnia che opera nel mondo dell’intrattenimento digitale, discutevamo tra noi sul voler diventare più grandi di Disney. Così pensammo ‘OK, ma cos’è esattamente una compagnia che fa intrattenimento digitale? Cos’è che ci definisce?’ e così arrivammo alla conclusione che non siamo solo una compagnia che crea giochi, ma una che dovrebbe anche creare film”.
Questo era Tomoyuki Takechi, in quegli anni Presidente e Chief Executive Officer di Square, che ovviamente condivideva la visione di Sakaguchi, la mente dietro questo progetto di espansione. Mentre a Honolulu si iniziava quindi a lavorare a Final Fantasy: The Spirits Within, il primo film d’animazione dello studio, in Giappone si proseguiva a produrre giochi ancora oggi amatissimi: uno su tutti, Vagrant Story. Al timone del progetto c’è sempre Mitsuno, che ne è anche Producer e Designer, e nonostante non vendette tanto come altri titoli presenti in questa lista, si impresse con caratteri di fuoco nei ricordi degli appassionati, sia per la costruzione di un mondo così forte ed evocativo, sia per il complesso ma appagante sistema di combattimento.
Non è però l’unica uscita rilevante del duemila per Square, perché, proprio a metà anno arriva Final Fantasy IX, con tutta evidenza (mia) il migliore di tutti e canto del cigno di una PlayStation a cui Square aveva dato tutto (e da cui molto ricevette). Hiroyuki Ito, Sakaguchi e Hashimoto creano un gioco che Final Fantasylo è sia molto che molto poco, mettendo in piedi un tributo al genere che va molto più nel classico e inverte la rotta rispetto ai suoi due predecessori. È in ogni caso il Final Fantasy in cui c’è Vivi, e tanto dovrebbe bastare.
Nel 2001 però succedono due cose che cambiano per sempre la traiettoria dell’azienda: il disastro di Final Fantasy: The Spirits Within (quasi 140 milioni di dollari spesi per poco più di 80 incassati) e lo slittamento al successivo anno fiscale di Final Fantasy X, che mettono Square in una posizione mai sperimentata prima, quella di un bilancio in rosso.
“Fu il film la causa principale. Ma anche lo spostamento di Final Fantasy X contribuì non poco. Così, mi presi la responsabilità dei conti in rosso e decisi di dimettermi e lasciare la compagnia. Anche Sakaguchi mi seguì: ‘Beh, non credo sia giusto che tu te ne debba andare, mi assumerò anche io la responsabilità e mi dimetterò con te’”.
Le parole di Tomoyuki Takechi, Presidente di Square, non sono esattamente le stesse di Hironobu Sakaguchi, che si sentiva più che altro schiacciato dal non poter più seguire come prima il processo creativo:
“Ho sempre amato Square, e sono davvero grato per la posizione che mi hanno fatto raggiungere [al tempo Sakaguchi era Producer e Executive Vice President, ndr], ma semplicemente sentivo che quello non ero più io. È quella la principale ragione per cui me ne sono andato”.
Dopo aver fatto diventare la compagnia un protagonista dell’industria videoludica, dopo aver creato alcune delle serie più iconiche di almeno un paio di generazioni, e dopo averne anche messo in crisi i conti, Hironobu Sakaguchi lascia Square.
In principio fu Square, poi venne Enix
Questo, più che ancora l’incombente fusione con Enix, è il momento in cui Square cambia e diventa (o inizia a diventare) l’azienda internazionale che conosciamo oggi. E lo fa ancora una volta grazie al successo delle sue produzioni, che la risollevano da un momento buio e le permettono di cambiare e andare avanti. Dopo due anni fiscali in rosso, sono Final Fantasy X e Kingdom Hearts a dare nuova linfa alla compagnia e farle chiudere l’accordo con Enix. Di questa fusione si parlava in realtà già all’inizio del 2000, ma le difficoltà finanziarie di Square misero in pausa il processo. Il 25 novembre del 2002 viene annunciata la nascita di Square Enix (che sarebbe diventata operativa a partire dall’aprile dell’anno successivo), società che seppur formalmente vedeva Enix assorbire Square all’atto pratico aveva Yoichi Wada (Square) come CEO e quasi l’80% della forza lavoro proveniente dalla casa di Final Fantasy.
Da questo momento in avanti diventa difficile poter seguire tutti i giochi che vengono prodotti: tra lo sfruttamento dei marchi esistenti (Final Fantasy e Dragon Quest su tutti) e l’internazionalizzazione tramite acquisizioni la compagnia inizia ad allargarsi sempre di più.
Nel 2005 per esempio viene aperto un studio in Cina e viene acquisita Taito (sì, quelli di Bubble Bobble e Space Invaders), nel 2008 prova (fallendo) a comprare Tecmo mentre l’anno successivo ingloba Eidos, acquisendo anche il suo non indifferente catalogo composto dai vari Tomb Raider, Deus Ex, Thief e Legacy of Kain. E poi ancora Hippos Lab, fondata nel 2011 per giochi mobile, Square Enix Montréal e Tokyo RPG Factory nel 2015. La piccola divisione software dell’azienda elettrica di papà, nata nel 1986, è ora un conglomerato enorme con sedi in tutto il mondo e oltre quattromila e cinquecento dipendenti.
Anche se a livello aziendale siamo ormai ai giorni i nostri, con i giochi abbiamo accumulato un certo ritardo. Final Fantasy X e Kingdom Hearts, dicevamo, furono due grandissimi successi. Il primo, sempre sotto la sapiente guida di Kitase, portò la serie su PlayStation 2 e gli fece fare un salto generazionale notevole, rischiando anche molto con l’abbandono dell’ATB e della mappa del mondo. Il rischio però fu ampiamente ripagato da delle vendite stellari (primo titolo su PS2 a raggiungere le due e le quattro milioni di copie vendute) e dall’apprezzamento per un gioco che viene spesso considerato come l’ultimo esponente dei Final Fantasy “classici”.
Kingdom Hearts invece fu il folgorante inizio di una nuova IP in collaborazione con Disney, che vedeva i due mondi (quello di Square e quello di Topolino) unirsi in un bizzarrissimo quanto riuscito crossover grazie a Tetsuya Nomura, che ad oggi, con seguiti e varianti successivi, ha venduto oltre trenta milioni di copie.
Nel 2002 tocca anche a Final Fantasy XI, che pur godendo di poche menzioni all’interno delle classifiche relative alla serie, è uno dei più importanti per diversi motivi. Final Fantasy XI è stato il primo MMORPG della serie (seguito poi dall’episodio XIV), uno dei primi titoli cross-gen della storia (fu lanciato su PS2 e PC e condivise i server anche con Xbox 360 per qualche anno) e soprattutto infinita fonte di guadagno per Square Enix (è stato il Final Fantasyche ha generato più profitti della storia), che tutt’ora lo mantiene attivo e con un abbonamento a sottoscrizione mensile. Dal 2002. Fatevi voi due conti.
Final Fantasy XIV, che lo seguì come concetto ma non fattivamente (i due giochi sono infatti entrambi attivi e separati), dopo un inizio disastroso è diventato uno dei MMORPG di maggior successo della storia, nonché il parco a tema definitivo per ogni fan di Final Fantasy. Naoki Yoshida, Producer che ne ha risollevato le sorti, è ora a capo di un’intera unità produttiva di Square e rappresenta una delle nuove leve con maggior talento a disposizione della compagnia.
Un crocevia fondamentale: Final Fantasy XIII
Se è vero che il grosso del fatturato lo fanno le serie con i numeroni romani dopo il nome, lo è altrettanto il fatto che spesso, soprattutto se si parla di Final Fantasy, questi sono totalmente diversi l’uno dall’altro. Prendiamo Final Fantasy XII per esempio, che è spesso considerato un fuori casta ma che come pochi altri è stato capace di precorrere i tempi. Il gioco di Ito e Minagawa infatti, ambientato in quella Ivalice che abbiamo già imparato a conoscere, si caratterizzava per un mondo in tempo reale nel quale non esisteva una battle screen, e aveva anche la possibilità di creare delle automazioni per far agire da soli i personaggi in base a certe azioni dei nemici. L’era di PlayStation 2 si stava chiudendo con una Square Enix in grande forma, che avrebbe però affrontato uno dei suoi progetti più controversi e complessi di sempre: Final Fantasy XIII.
L’avventura di Lightning e la storia di Cocoon iniziano con l’annuncio all’E3 del 2006, anche se il progetto parte un paio d’anni prima come gioco per PS2 (il ritardo di FFXII e l’uscita di PS3 lo fanno poi slittare di generazione). Nelle intenzioni della compagnia questo doveva essere insieme al suo fratello gemello Final Fantasy Versus XIII, l’ossatura sulla quale si sarebbe dovuta sviluppare la Fabula Nova Crystallis, e cioè l’insieme di giochi e prodotti multimediali legati all’universo di Final Fantasy XIII. L’utilizzo di Crystal Tools, il motore grafico proprietario di Square, ebbe un impatto pesantissimo sui tempi di sviluppo, il che portò il gioco a essere pubblicato solo nel 2009 (a marzo 2010 nel resto del mondo). Se unite questo a una serie di scelte di rottura non troppo apprezzate dall’utenza (linearità eccessiva di trama e progressione, sistema di combattimento interessante ma un po’ confuso) e a una serie di seguiti (Final Fantasy XIII-2 nel 2011 e Lightning Returns: Final Fantasy XIII nel 2013) non esattamente riusciti, avrete la dimensione del momento di crisi della compagnia nei confronti della sua serie più importante.
L’attuale dimensione di Square Enix permette però di sperimentare con nuove IP: è per esempio il caso di Drakengard, che nasce nel 2003 su PS2 da Cavia e Yoko Taro per poi raddoppiare nel 2005 e dare il vita a Nier prima (2010, PS3) e Nier: Automata poi, indiscutibilmente uno dei migliori prodotti della storia recente di Square Enix e uno dei migliori titoli in generale usciti in quell’anno. La compagnia però inizia anche a mettere a frutto gli studi acquisti: vedono quindi la luce Deus Ex: Human Revolution (2011) da Eidos Montréal e un reboot di Tomb Raider ad opera di Crystal Dynamics, sbocciato poi in una nuova trilogia (Rise of the Tomb Raider, 2015, e Shadow of the Tomb Raider, 2018).
Anche le properties di Enix non sono certo state a guardare, con Dragon Questsempre più alfiere di quel modo di intendere i giochi di ruolo che con l’XI capitolo (diretto da Takeshi Uchikawa e prodotto da Yosuke Saito) ha forse raggiunto la sua vetta più alta e con Builders, che arrivato al secondo capitolo si è dimostrato uno spin off particolarmente riuscito. E ancora Marvel’s Avengers, progetto di Crystal Dynamics in uscita a settembre 2020 e pronto a sfruttare uno dei franchise più forti del mercato e ovviamente Final Fantasy, il cui capitolo XV, pur con tutti i suoi difetti, ha avuto il gran merito di rendere la serie ancora rilevante, non fosse per uno svecchiamento di alcune meccaniche (almeno nella prima parte) che era necessario fare.
What’s Next?
E poi, ovviamente, c’è Final Fantasy VII Remake, che non avrà lo stesso impatto sull’industria che ebbe il predecessore, ma che avrà l’indiscutibile pregio, o almeno spero lo abbia, di far intanto rivivere a noi anziani quelle stesse emozioni senza che ci sanguinino gli occhi, e poi potrà far vivere a un’intera nuova generazione di giocatori un’esperienza che per molti fu totalizzante.
In tutta la sua storia, che le cose andassero bene o male, Square si è sempre dimostrata una società di lotta e di governo, vogliosa di sperimentare e buttarsi nel vuoto ma anche di capitalizzare quanto più possibile dalle sue proprietà, tirando in alcuni casi troppo la corda, ma regalando in altri piccoli e grandi capolavori. Questo approccio ha fatto sì che spesso, sopratutto con le serie storiche, qualsiasi cosa faccia si trovi più o meno in questa situazione.
Il punto di svolta nel trattamento dei classici, nel maneggiare materiali e giochi che sono inspiegabilmente diventati tabù e non semplici prodotti culturali, potrebbe essere proprio questo remake, che fino ad ora si è mostrato tanto rispettoso del materiale originale quanto ambizioso e desideroso di cambiare.
Che sia il modo che ha trovato Square Enix per chiudere il cerchio e aprire una nuova stagione d’oro?
*FONTE: ING