Figlio di una gestazione lunga e complicata, Final Fantasy Type-0 è un altro gioco firmato Square Enix che, negli anni, ha cambiato più volte identità. Battezzato originariamente Final Fantasy Agito XIII, il progetto diretto da Hajime Tabata avrebbe dovuto essere uno spin-off di Final Fantasy XIII, essendo parte dello stesso piano chiamato Fabula Nova Crystallis come anche l’ex Final Fantasy Versus XIII.
Poi, però, Final Fantasy Agito XIII è uscito su PlayStation Portable piuttosto che sui telefoni cellulari, e ha cambiato titolo, così come Final Fantasy Versus XIII è diventato il prossimo Final Fantasy XV per console next-gen, mentre Final Fantasy XIII si guadagnava due sequel che hanno diviso pubblico e critica. In tutto questo, Final Fantasy Type-0, nonostante il buon successo riscosso in patria, non è mai arrivato in occidente, e ogni speranza sembrava ormai perduta finché, l’anno scorso, Square Enix non ha intimato il gruppo di fan che ne stava preparando una traduzione amatoriale di cessare ogni attività. Insomma, la creatura fortemente voluta da Tabata, lo stesso ideatore dell’ottimo Crisis Core: Final Fantasy VII e di una nuova linea di Final Fantasy tutta “action oriented”, sarebbe arrivata anche in occidente, e non come semplice porting, ma in versione rimasterizzata: una moda che oggigiorno sembra diffondersi sempre di più tra le software house e che ogni tanto ci permette di giocare, o rigiocare, delle vere e proprie perle. Ma vale anche per Final Fantasy Type-0? Oppure la scelta di allegare alle prime tirature del gioco una demo giocabile di Final Fantasy XV serviva solo a spingere le vendite di un titolo che, altrimenti, sarebbe rimasto sugli scaffali, nonostante il nome altisonante?
I primi dieci minuti di Final Fantasy Type-0 HD sono a dir poco spiazzanti, anche per un veterano della serie targata Square Enix. Il lunghissimo filmato introduttivo, infatti, ci presenta uno scenario drammatico: fiamme ovunque, edifici distrutti, cadaveri sparsi dappertutto. La terra di Orience è in guerra da quando l’Impero di Milites, guidato dal comandante supremo Cid Aulstyne, ha lanciato un attacco contro il Dominio di Rubrum con il preciso scopo di impadronirsi del suo cristallo. Orience, infatti, è divisa in quattro nazioni principali che custodiscono un cristallo ciascuna: Milites e Rubrum, come detto, ma anche Concordia e Lorica. A mettere un freno alla strage ci pensa la Classe Zero, una squadra speciale di potentissimi cadetti addestrati nelle arti magiche all’interno del Peristylium di Rubrum, una sorta di ateneo che studia e protegge il cristallo della nazione.
I dodici membri della Classe Zero sono anche i nostri protagonisti, e a loro si aggiungono presto anche Machina e Rem, due studenti che non sanno di avere molto in comune con Ace e gli altri. Be’, più che altro non se lo ricordano, perché i cristalli di Orience fanno perdere ai vivi i ricordi dei morti, così da rafforzarli impedendo che siano frenati da rimpianti e nostalgia. Vi sembra spietato? Final Fantasy Type-0, in effetti, è il capitolo più truce, violento e sanguinario della storica saga, e non è un caso che venga dato ampio spazio alla guerra in tutte le sue sfaccettature, quasi più protagonista dei cadetti della Classe Zero. Loro, infatti, non godono tutti delle stesse attenzioni a livello di sceneggiatura: il triangolo Ace/Machina/Rem è preponderante, neanche a dirlo, e qualche altro personaggio riesce a strappare uno “screentime” sufficiente, ma altri hanno poche battute o un ruolo limitatissimo nell’economia della narrazione, anche rispetto ad alcuni comprimari o nemici. La storia, in ogni caso, è una che non si scorda facilmente, ricca com’è di momenti epici e sconvolgenti, impreziositi dall’accompagnamento musicale del bravissimo Takeharu Ishimoto: naturalmente la guerra per i cristalli prende una piega molto più elaborata già nei primi capitoli, soprattutto quando cominciano a fare capolino nelle vicende gli l’Cie. Il ricorso al lore stabilito con Final Fantasy XIII – per esempio, i cristalli scelgono degli individui e conferiscono loro enormi poteri, purché perseguano la missione che gli è stata affidata a costo della vita – a tratti appare un po’ forzato, più che altro perché si tratta di una mitologia meno collaudata rispetto a quella classica con gli Esper e, appunto, i cristalli, ma nell’economia della storia funziona meglio di quanto abbia fatto nella trilogia di Lightning dove, paradossalmente, si trattava di un elemento chiave fin dal primo episodio, nonostante sia necessario ricorrere al glossario interno al gioco per comprendere meglio alcuni concetti chiave. Bisogna sottolineare, infine, che Final Fantasy Type-0 andrebbe giocato almeno due volte, dato che una volta concluso il primo playthrough se ne sblocca un altro arricchito da sequenze narrative che approfondiscono la storia e alcuni personaggi, chiarendo motivazioni ed eventi che al primo giro apparivano imperscrutabili: è un meccanismo “alla Nier” che purtroppo funziona e non funziona, alienando quei giocatori che magari non hanno tantissima voglia di ricominciare da capo l’avventura.
Quando Hajime Tabata ha cominciato a progettare Final Fantasy Agito XIII, l’ha fatto basandosi sulla struttura del suo precedente Crisis Core: Final Fantasy VII, e ha fatto in modo che lo si potesse giocare anche in brevi intervalli di tempo. Ecco perché Final Fantasy Type-0 non segue il canovaccio del gameplay tipico di tanti jRPG o Final Fantasy in generale, suddiviso com’è in missioni non troppo lunghe e intermezzi che si possono scandire a piacimento. Tutto ruota intorno al Peristylium, dove la Classe Zero “vive” tra una missione principale e l’altra: in questi frangenti Final Fantasy Type-0 pesca a piene mani nella cultura dei Persona e degli Atelier, con un limitato quantitativo di ore libere a disposizione del giocatore, che può consumarle andandosene a zonzo per la mappa del mondo, interagendo con alcuni personaggi o intraprendendo semplici e ripetitive missioni di uccisione o recupero.
Le attività secondarie, neanche a dirlo, servono a guadagnare punti esperienza e racimolare oggetti e consumabili, ma anche ad approfondire la conoscenza dei nostri comprimari o delle vicende di Orience. Una volta esaurito il tempo libero a disposizione, suona l’allarme e bisogna affrontare la missione principale successiva, e questo solitamente significa uscire dal Peristylium e raggiungere – a piedi, a cavallo di un chocobo o, in seguito, a bordo di un’aeronave – il luogo in cui dovremo darle di santa ragione ai nostri nemici. Di tanto in tanto, però, dovremo anche conquistare o riconquistare le città di Orience in schermaglie che ricordano gli strategici in tempo reale e di cui, onestamente, avremmo fatto a meno: hanno tutta l’aria di un esperimento frettoloso, buttato lì tanto per dare un po’ di varietà, che dimostra perlopiù inesperienza. In questi frangenti, infatti, dovremo ingaggiare le unità nemiche che si spostano sulla mappa del mondo, facendo da supporto a quelle alleate e decidendo attraverso uno scomodo menu i plotoni da schierare in battaglia. Per fortuna, oltre ad essere frustranti, sono anche brevi. Le missioni tradizionali sono comunque il cuore del gioco, ambientate in brevi dungeon che ci ricordano la natura portatile originale di Final Fantasy Type-0: sono segmentati in micro-aree e corridoi a caricamento, in cui affronteremo i nemici mentre avanziamo verso la meta. Questo non è un Final Fantasy qualunque, ma un titolo fortemente action, in cui il giocatore controlla uno dei tre membri della Classe Zero schierati in battaglia, scegliendo in tempo reale le azioni corrispondenti ai pulsanti del joypad: un tasto per schivare, uno per l’attacco base (che di solito può concatenarsi in una combo) e gli altri due per gli attacchi speciali o le magie.
Un comodo sistema di lock-on permette di agganciare un bersaglio alla volta e seguirlo più facilmente mentre si zigzaga da un punto all’altro per evitare il più possibile gli attacchi degli avversari: la difficoltà di Final Fantasy Type-0 è decisamente sopra la media anche al livello più basso, peraltro aggiunto a posteriori per questa versione rimasterizzata proprio perché i giocatori dell’edizione giapponese avevano lamentato la particolare spietatezza di alcuni scontri. Il motivo risiede anche nel sistema di leveling, decisamente votato al grinding: guadagnano punti esperienza soltanto i personaggi che sconfiggono i nemici, mentre quelli in panchina restano inesorabilmente indietro. Il fatto che si possano cambiare in qualsiasi momento durante le missioni è relativamente d’aiuto, poiché alternandoli è matematico che guadagnino tutti meno esperienza, e concentrandosi su pochi personaggi in particolare è altrettanto deleterio. La difficoltà degli scontri, poi, è tarata verso l’alto proprio per indurre il giocatore a sostituire i combattenti caduti con quelli in panchina: nonostante si scelgano solo tre eroi, non appena uno viene sconfitto – cosa che si verifica con frequenza allarmante, a cominciare dal fatto che, accettato un compito secondario, il prezzo del fallimento si paga con la morte – lo si può sostituire subito con una riserva, mentre un’oscura opzione facoltativa permette di rimpiazzare temporaneamente i compagni deceduti con degli anonimi studenti del Peristylium che sono praticamente dei cloni in grado di offrire un supporto temporaneo quando tutto sembra andare a rotoli.
Non è un caso, quindi, che il sistema di combattimento, frenetico e sufficientemente complesso, si appoggi a un meccanismo chiave basato sul tempismo del giocatore: nel momento un nemico ci attacca, infatti, per un brevissimo istante comparirà un’indicatore che ci permette di sconfiggere il bersaglio in un colpo solo, o di infliggergli danni pesantissimi nel caso dei boss più coriacei. All’inizio non è facile approfittare di questo bizzarro sistema di contrattacco, ma nelle missioni avanzate diventa imperativo abusarne onde evitare di esaurire i membri della Classe Zero prima del tempo, nel più classico dei Game Over.
Per fortuna, il cast è abbastanza variegato anche dal punto di vista del gameplay, visto che ogni personaggio si gioca in maniera completamente diversa dagli altri. Ace, per esempio, combatte a media distanza scagliando i suoi tarocchi e preparando dei “mazzi” dalle capacità più disparate. Eight, invece, attacca i nemici in mischia a suon di pugni e calci, in modo un po’ meno elegante di Nine, il “dragoon” di turno che brandisce una lancia e può balzare in testa ai nemici. Persino King e Cater, nonostante usino entrambi le pistole, dispongono di abilità e attacchi che richiedono approcci differenti, e lo stesso vale per i personaggi di supporto come Deuce e Rem. Insomma, la varietà in termini di abilità e magie è enorme, grazie anche a un duplice sistema di potenziamento. I punti guadagnati aumentando di livello si possono spendere per acquistare le nuove abilità dei personaggi attraverso un’interfaccia non proprio intuitiva, tanto per cominciare: è un sistema di upgrade non particolarmente originale, ma fa il suo dovere. L’Alto Crystarium, invece, consente di consumare i phantoma assorbiti dai nemici sconfitti per modificare le varie magie alterandone il costo, la gittata e altri parametri. A ciò si aggiungono, infine, gli Esper, ovvero le tradizionali “summon” di Final Fantasy, che qui funzionano in modo abbastanza brutale: evocarne uno significa sacrificare istantaneamente un membro del gruppo. A quel punto, la creatura si controlla come fosse un personaggio qualsiasi per un periodo limitato di tempo, e ogni Esper – tra cui gli immancabili Ifrit, Shiva e Odin – può essere potenziato a sua volta, in modo da prolungarne la presenza o sbloccarne nuove abilità.
Chi acquista Final Fantasy Type-0 HD lo deve fare nella piena consapevolezza che il gioco non è affatto un titolo next-gen, nonostante giri su PlayStation 4 o Xbox One. Per la next-gen c’è la demo di Final Fantasy XV. Il suffisso HD è molto chiaro. Accanirsi sulle lacune a livello di grafica o di gameplay non avrebbe senso, perciò ci limiteremo a giudicare la qualità del lifting operato da Square Enix che, a dire il vero, è un po’ altalenante. Consapevoli di star giocando un titolo per PSP, non abbiamo mai confidato in un miracolo, altrimenti si sarebbe parlato di remake, non di remastered.
La bassa qualità di alcuni modelli poligonali, comunque sporadica, non ci ha scomposto, specie se si considera che il team di Tabata ha riadattato la maggior parte dei modelli che nella versione PSP apparivano nelle sequenze d’intermezzo, molto più dettagliati, e ha implementato l’effettistica e l’illuminazione basate sulla tecnologia di Final Fantasy XV. Il risultato, insomma, è un ibrido old-gen/next-gen che non dispiace, ma che talvolta tradisce le sue origini più del dovuto, in particolar modo in ambito texture, quando ne sfoggia alcune a bassissima risoluzione che stonano come un pugno in un occhio, per esempio nella scarna e grezza world map. Succede più spesso di quanto avremmo voluto, e insieme alle animazioni non sempre fluidissime dei personaggi, e al riciclo dei nemici che affronteremo per la trentina di ore necessarie a concludere la prima partita, ci si sente spesso sospesi nel tempo, ma ci si fa il callo. Il problema, semmai, è la telecamera schizofrenica che segue l’azione: troppo sensibile, ruota vorticosamente intorno al nostro personaggio, quando pienamente controllabile, e causa un nauseante effetto di sfocatura sullo sfondo. Durante i combattimenti getta nella confusione più totale, ragion per cui è bene agganciare subito i nemici in lock-on e non mollarli più. Sulla colonna sonora, straordinaria, ci siamo già espressi, perciò val la pena spendere due parole sul doppiaggio in inglese, caratterizzato da voci non sempre adattissime ai personaggi, e sull’adattamento italiano dei testi, davvero ottimo.
*FONTE: Multiplayer.it